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Insetti commestibili e rischi alimentari

È evidente che, come con qualsiasi alimento, ci sono rischi potenziali legati al consumo di insetti. Ma è importante sottolineare che, se allevati, preparati e consumati in modo corretto e sicuro, questi rischi diventano davvero remoti. Lo speciale su "Alimenti Funzionali"

 

Una delle questioni più spinose, quando si parla di insetti commestibili è se questi rappresentino un rischio per la salute. È una domanda legittima che molti consumatori si pongono. D’altronde, l’insetto viene generalmente associato alla sporcizia o alla degradazione delle matrici alimentari, quindi è naturale nutrire dubbi. Tuttavia, perché dovrebbe esserlo? Perché una cavalletta dovrebbe rappresentare un pericolo maggiore rispetto al consumo di qualche altro animale, come un gamberetto?
Purtroppo, questa comparazione non è sufficiente a rispondere alla domanda. Non sono le caratteristiche morfologiche che ci permettono di discernere il sicuro dal non sicuro.
Se fosse così, potremmo consumare qualsiasi tipo di pesce presente in natura, poiché ogni pesce (ad eccezione di alcune specie) presenta una morfologia simile.
Premesso ciò, vediamo quali sono i rischi, la gravità e come arginarli.
Il primo rischio che corriamo (ma anche il più facile da evitare), è il consumo di insetti sconosciuti. Quindi, il primo rischio si argina limitandosi a quelli che troviamo in commercio a uso alimentare. Infatti, ce ne sono che contengono tossine, anche dopo la cottura (o se quest’ultima non è sufficiente), come alcuni millepiedi (famiglia Scolopendrae e Julidae), che secernono veleno, e il coleottero detto “nunzio della morte” (Blaps mortisaga), che secerne una sostanza irritante e maleodorante dall’ano, se minacciato. Da questo rischio ne deriva un secondo, ovvero il consumo di insetti generalmente sicuri ma che consumano sostanze o piante tossiche. Alcuni di questi accumulano tali sostanze nei loro corpi e diventano quindi tossici a loro volta. Ne sono esempi la cavalletta del deserto (Schistocerca gregaria) o alcuni tipi di bruchi che si nutrono di piante del genere Euphorbia, contenenti un lattice velenoso. Oppure, semplicemente perché accumulano un’eccessiva quantità di selenio (sempre derivante dalla loro dieta) che, pur essendo un elemento essenziale per gli umani, la quantità necessaria per soddisfare il fabbisogno è così bassa che si può raggiungere l’intossicazione molto facilmente.

 

Continua a leggere l’approfondimento di Aldo Bongiovanni che pubblichiamo sulla rivista
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