Livelli elevati di colesterolo nel sangue ci espongono ad un rischio maggiore di contrarre malattie cardiache ed ictus; uno dei modi per ridurli è assumere statine. Numerosi studi hanno tuttavia dimostrato sì la loro efficacia ma anche gli effetti negativi, come aumentare il rischio – o peggiorare – il diabete di tipo 2 esistente.Un recente revisione scientifica, apparsa su Trends in Pharmacological Sciences, esorta i ricercatori a studiare sempre più le ceramidi, al fine di sviluppare una nuova classe di farmaci che potrebbe integrare le statine, portando a sostegno della loro tesi una provata associazione tra alte concentrazioni sieriche di ceramidi e malattie cardiache e diabete negli esseri umani, indipendentemente dal colesterolo. Quando i ricercatori usano farmaci o mezzi genetici per ridurre la sintesi di ceramidi negli animali, questo impedisce loro di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete; altri studi sugli animali rivelano che le ceramidi possono aumentare l’accumulo di grasso, ridurre l’uso di glucosio e l’efficienza dei mitocondri, definite le centrali elettriche delle cellule, segni distintivi della sindrome metabolica.Le statine bloccano la sintesi del colesterolo, che a sua volta porta all’inibizione secondaria della produzione e della secrezione di lipoproteine; non bloccano direttamente la sintesi della ceramide, piuttosto riducono quelle circolanti a causa degli effetti sulle lipoproteine.Sviluppare nuovi farmaci per le ceramidi ha la sua rilevanza. Esercitano i loro effetti dannosi nei tessuti, come il fegato, non nel sangue; per le persone che assumono statine, le ceramidi probabilmente si accumulano nel fegato, il che è potenzialmente problematico. Questo spiegherebbe alcuni degli effetti collaterali delle statine.Non tutti sono però convinti della necessità di sviluppare una nuova classe di farmaci per ridurre la sintesi delle ceramidi. Metabolites riporta, infatti, un articolo sull’effetto dell’esercizio fisico sui livelli di ceramide, in cui figurano prove preliminari che le ceramidi hanno un futuro come biomarcatori per stratificare i rischi cardiovascolari e, sebbene ulteriori ricerche siano necessarie, alcuni ricercatori ritengono che questa sarà una nuova area di interesse nella comunità medica internazionale.