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Legame tra i batteri intestinali e la salute dell’intestino



Legame tra i batteri intestinali e la salute dell’intestino

Secondo quanto riportato dai ricercatori di Filadelfia, USA, sulla rivista Nature del 3 novembre scorso, l‘enzima conosciuto come HDAC3 potrebbe essere centrale nel capire i meccanismi della complessa relazione tra i nostri batteri intestinali e la salute dell’intestino stesso.
Il gruppo si è focalizzato sull’HDAC3 che appartiene a una famiglia di enzimi che possono essere sensibili ai segnali ambientali e del quale erano stati precedentemente identificati diversi ruoli nell’infiammazione e nel metabolismo. È stato anche osservato in un intestino normale e in uno malato, sia umano che di ratto, ed è stato trovato che è attivo attraverso l’epitelio intestinale, ma che la sua attività è ridotta nei tessuti dei soggetti con sindrome infiammatoria dell’intestino.
Il gruppo ha poi sviluppato un modello di ratto carente di HDAC3 nell’epitelio intestinale: è stato riscontrato che questi animali esibivano un’alterata espressione genetica nelle cellule epiteliali del loro intestino. Inoltre, mostravano segni di alterata salute intestinale con alcuni sintomi osservati anche nei pazienti con sindrome infiammatoria dell’intestino.
Dall’analisi della diversità delle popolazioni microbiche colonizzanti questi ratti, i ricercatori hanno trovato differenze rispetto agli animali normali e, pertanto, hanno testato cosa accadrebbe se i ratti carenti di HDAC3 crescessero in assenza di batteri: i loro sintomi intestinali erano in gran parte scomparsi come molte delle differenze osservate nell’espressione genetica. In altre parole, l’HDAC3 influenza la popolazione batterica e i batteri, a loro volta, influenzano il comportamento cellulare.
L’espressione intestinale dell’HDAC3 è una componente essenziale di come i mammiferi regolano la relazione tra batteri commensali e funzione normale dell’intestino.



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Lo stigmasterolo potrebbe essere d’aiuto contro l’Alzheimer



Lo stigmasterolo potrebbe essere d’aiuto contro l’Alzheimer

Su The Journal of Neuroscience (33 (41), pagg. 16072-16087) sono stati pubblicati i risultati di uno studio complesso che ha valutato, utilizzando dei ratti, se l’assunzione con la dieta di steroli vegetali potesse avere effetti benefici sull’Alzheimer. Sono stati analizzati gli affetti degli steroli vegetali e del colesterolo sulla proteina precursore dell’amiloide (APP). Infatti l’amiloide-β (Aβ), generato per processo proteolitico dell’APP dalle secretasi β e γ, è il principale costituente delle placche senile nell’Alzheimer. Il gruppo di ricercatori tedeschi, olandesi e finlandesi ha trovato che lo stigmasterolo è l’unico sterolo vegetale che ha diminuito in modo significativo i livelli di Aβ. Rispetto allo stigmasterolo, il β-sistosterolo e il colesterolo hanno aumentato in modo significativo i livelli di Aβ, mentre il campesterolo e il brassicasterolo hanno dimostrato un effetto minore o nullo. I ricercatori fanno notare che lo stigmasterolo è strutturalmente diverso dal colesterolo con un addizionale doppio legame a C22-C23 e un gruppo etilico al C24. L’analisi dei meccanismi molecolari hanno rivelato che lo stigmasterolo inibisce direttamente l’attività della β-secretasi.
Sono stati notati anche altri effetti indotti dallo stigmasterolo su differenti processi cellulari, quali la modulazione diretta degli enzimi, l’espressione genetica e i processi di trasporto subcellulare, che hanno portato a una riduzione della generazione di Aβ del 38%.
Gli autori concludono che una dieta arricchita in steroli vegetali contenenti principalmente stigmasterolo potrebbe avere effetti benefici sull’Alzheimer. I dati dimostrano che gli steroli vegetali sono componenti alimentari biologicamente attivi con importanti processi funzionali nel cervello, ma gli studiosi avvertono che potrebbero interferire con altre funzioni cerebrali, quali, la neurotrasmissione e il trasporto delle proteine attraverso la membrana, effetti che dovrebbero essere approfonditi con ulteriori studi.



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Effetti dell’integrazione giornaliera di ferro sui bambini della scuola primaria



Effetti dell’integrazione giornaliera di ferro sui bambini della scuola primaria

L’anemia è un importante problema clinico e di salute pubblica; studi hanno messo in correlazione la carenza di ferro e l’anemia nei bambini con risultati scolastici molto scarsi, compreso uno scarso sviluppo cognitivo. D’altra parte, l’integrazione con il ferro, una strategia terapeutica e preventiva largamente utilizzata, è associata a effetti collaterali. I bambini della scuola primaria sono in una fase critica dello sviluppo intellettivo e l’ottimizzazione delle loro prestazioni cognitive potrebbe portare benefici a lungo termine sia individuali che a livello di popolazione. Nella revisione sistematica pubblicata sul Canadian Medical Association Journal (15 ottobre 2013), ricercatori australiani dell’Università di Melbourne hanno riassunto le prove dei benefici e della sicurezza dell’integrazione giornaliera con ferro nei bambini della scuola primaria.
Sono stati identificati 16.501 studi, sono state valutate 76 pubblicazioni e sono stati inclusi 32 studi che hanno coinvolto 7.089 studenti. L’integrazione con il ferro ha migliorato il punteggio cognitivo globale, il quoziente d’intelligenza tra i bambini anemici e le misure dell’attenzione e della concentrazione. Ha anche fatto aumentare l’altezza correlata all’età di tutti i bambini e i peso tra i bambini anemici. L’integrazione con il ferro porta a una riduzione del 50% del rischio di anemia e del 79% della carenza di ferro. I dati sulla sicurezza erano limitati.
Questa analisi suggerisce che l’integrazione con il ferro a dosi medio-basse migliora in modo sicuro le prestazioni ematologiche e non-ematologiche tra i bambini frequentanti la scuola primaria ed è ben tollerata.



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Il consumo di caffè e la riduzione del rischio di tumore al fegato



Il consumo di caffè e la riduzione del rischio di tumore al fegato

Un gruppo di ricercatori italiani del Dipartimento di epidemiologia, IRCCS dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, ha pubblicato sulla rivista Clinical Gastroenterology and Hepatology (2013, vol. 11, n. 11, pagg. 1413-1421) i risultati di una meta-analisi sugli articoli pubblicati in inglese dal 1966 al settembre 2012 comprendenti 16 studi di alta qualità per un totale di 3153 casi. Questi risultati suggeriscono che il rischio di carcinoma epato-cellulare (HCC) è ridotto del 40% con il consumo di caffè rispetto al non consumo, mentre alcuni dati indicano che il consumo di 3 tazzine di caffè al giorno possono ridurre il rischio di tumore al fegato di più del 50%.
L’effetto positivo del caffè sul fegato potrebbe essere mediato dalla comprovata prevenzione del diabete da parte del caffè stesso e dai suoi effetti benefici sulla cirrosi e sugli enzimi epatici.
Nonostante la quantità dei risultati, il periodo di tempo preso in esame e il numero di casi, è difficile stabilire se l’associazione tra l’assunzione di caffè e l’HCC sia casuale o se questa relazione possa essere parzialmente attribuibile al fatto che i pazienti con malattie al fegato e all’apparato digerente spesso riducono volontariamente il consumo di caffè.



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La vitamina D e la funzionalità motoria negli anziani



La vitamina D e la funzionalità motoria negli anziani

Ricercatori del VU University Medical Center di Amsterdam, Olanda, hanno confermato che la carenza di vitamina D raddoppierebbe il rischio di un aumento nelle limitazioni funzionali.

I risultati dello studio, pubblicati sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism (17 luglio 2013), sono in linea con i risultati dei principali studi che hanno confrontato lo stato della vitamina D e le prestazioni fisiche, nei quali un basso livello di vitamina D era stato associato a una scarsa prestazione fisica e al sua declino nelle persone con età superiore ai 65 anni.

Sono stati analizzati i dati di due gruppi di persone del Longitudinal Aging Study di Amsterdam con età compresa rispettivamente tra i 65 e gli 88 anni (1.237) e tra i 55 e i 65 anni (725) che hanno risposto a domande relative a 6 funzioni della vita quotidiana, quali salire e scendere le scale, problemi a vestirsi e svestirsi, difficoltà a sedersi su una sedia o a rialzarsi, difficoltà a tagliarsi l’unghia dell’alluce, problemi a camminare all’aperto per 5 minuti senza soste e a utilizzare i mezzi pubblici.

Il 56% dei partecipanti alla coorte più anziana e il 30% di quella più giovane hanno dichiarato di avere almeno una limitazione. La carenza di vitamina D nel gruppo più anziano è stato correlato a un aumento significativo delle limitazioni funzionali dopo tre anni, mentre per il gruppo più giovane, la carenza di vitamina D è stata collegata a un aumento delle limitazioni dopo 6 anni.

Pertanto si può affermare che la vitamina D ha un effetto positivo sui muscoli le cui cellule sulla superficie hanno recettori di vitamina D che possono attivare più di 300 geni grazie al legame con la vitamina stessa.



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L’aglio protegge contro il tumore ai polmoni



L’aglio protegge contro il tumore ai polmoni

L’effetto protettivo dell’aglio sullo sviluppo dei tumori è stato dimostrato in studi sperimentali in vitro e in vivo; ma pochi studi epidemiologici hanno valutato questa relazione.

Ricercatori cinesi hanno condotto uno studio sulla popolazione dal 2003 al 2010 con l’obiettivo di esplorare l’associazione tra il consumo di aglio e il tumore ai polmoni e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cancer Prevention Research (2013, 6 (7), pagg. 711-8).

I dati epidemiologici sono stati raccolti tramite interviste faccia a faccia utilizzando un questionario standard con 1.424 persone affette da tumore ai polmoni e 4.543 persone di controllo in salute. Dopo l’approssimazione statistica per i fattori potenziali di confusione, è risultato che il consumo di aglio, con una frequenza di almeno due volte alla settimana, è inversamente associato al tumore al polmone con una relazione dose-risposta monotonica. Inoltre, sono state osservate interazioni sia su scala additiva che su scala moltiplicativa tra il consumo di aglio e il fumo di tabacco oltre ai fumi dell’olio di cottura ad alta temperatura.

In conclusione, l’associazione protettiva tra l’assunzione di aglio e il tumore ai polmoni è stata osservata con un modello dose-risposta suggerendo che l’aglio potrebbe essere un agente chemiopreventivo per il tumore ai polmoni. I componenti dell’aglio efficaci nella prevenzione del tumore ai polmoni saranno oggetto di ulteriori studi approfonditi.



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Il ginkgo biloba potrebbe potenziare le funzioni cerebrali



Il ginkgo biloba potrebbe potenziare le funzioni cerebrali

L’integrazione con un estratto di Ginkgo biloba potrebbe aiutare a combattere le perdite di memoria e il peggioramento cognitivo associati alla demenza senile secondo i risultati di una nuova ricerca condotta da ricercatori cinesi sui ratti pubblicata sulla rivista Neural Regeneration Research (vol. 8, n. 18, pagg. 1655-1662).

Lo studio ha osservato gli effetti dell’estratto di questa pianta sulla formazione dei neuroni nel cervello di ratti dopo che precedenti ricerche suggerivano che l’estratto di Ginkgo biloba EGb 76, ricco in flavonoidi e terpenoidi, aveva effetti positivi sulla memoria.

I ricercatori hanno creato un modello di demenza vascolare nei ratti e successivamente hano integrato la loro dieta con 50 mg/kg/die di estratto EGb 76. Sono state accertate le capacità di apprendimento e la memoria dei ratti durante il test utilizzando il labirinto d’acqua di Morris, mentre con l’immunofluorescenza è stata etichettata la proliferazione delle cellule staminali neuronali endogene nella zona subventricolare in tutti i ratti dopo 15 giorni, 1, 2 e 4 mesi. È stato trovato che l’estratto migliora in modo significativo l’apprendimento e la memoria nei ratti, mentre l’analisi per immunofluorescenza ha dimostrato che il numero e la proliferazione delle cellule positive al 5-bromo-2-deossiuridina nella zona subventricolare erano significativamente maggiori nei ratti con la dieta integrata.

I ricercatori hanno affermato che le loro scoperte forniscono una nuova idea e un nuovo approccio per esplorare ulteriormente la proliferazione delle cellule staminale neuronali nel trattamento della demenza senile.



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Per gli atleti attenzione alla dieta e al peso per mantenere la massa muscolare



Per gli atleti attenzione alla dieta e al peso per mantenere la massa muscolare

Secondo un rapporto stilato da una ricercatrice dell’Università statale dell’Oregon, gli atleti che cercano il peso forma dovrebbero seguire un’alimentazione equilibrata ricca di fibre e a basso contenuto di grassi mentre seguono gli allenamenti, al fine di mantenere la massa muscolare e bruciare i grassi.

Gli Stati Uniti contano oggi un numero record di atleti sovrappeso, una categoria di popolazione che molti potrebbero pensare immune dai problemi dell’obesità dilagante. A livello nazionale, oltre il 45% dei linebacker (ruolo difensivo del foodball americano) delle scuole superiori è obeso, ed è in aumento il numero di studenti sovrappeso che praticano sport a livello dilettantistico nei college.

In una revisione paritaria recentemente pubblicata nei quaderni della Nestlé Nutrition Institution, la ricercatrice Melinda Manore ha esaminato i benefici dell’insegnare agli atleti come adottare quella che lei chiama una dieta energeticamente “densa”, ricca di fibre e acqua, ma a basso contenuto di grassi, partendo dalla constatazione che troppi atleti sono spinti verso diete grasse o che cercano di limitare troppo l’apporto calorico in un modo malsano e insostenibile.

A seconda dello sport, a volte gli atleti vogliono perdere peso senza perdere massa magra, oppure aumentare di peso, ma con massa magra, il che è molto difficile da fare se si limita troppo drasticamente l’apporto calorico o si cerca di perdere peso troppo in fretta. Con questi comportamenti scorretti si rischia inoltre che gli atleti non abbiano sufficiente energia per allenarsi, o che si sentano stanchi e che quindi siano a rischio di infortunio.

Secondo Manore, professoressa di nutrizione presso la Facoltà di salute pubblica e di scienze umane all’Università dellOregon, la maggior parte degli studi dimostra che  considerare solo il conteggio delle calorie non funziona. Bisogna invece poter mantenere uno stile di vita sano, anche durante le pause, o quando non si è in periodo di allenamento, e per calcolare il peso corporeo ottimale di un atleta si dovrebbero considerare i seguenti criteri: ridurre al minimo i rischi per la salute e favorire una corretta alimentazione; genetica e la storia familiare; peso adeguato in base ad età e livello di sviluppo fisico, considerando anche la normale funzione riproduttiva nelle donne. Infine, il peso deve poter essere mantenuto senza dover restare costantemente a dieta e limitare l’assunzione di cibo.

Nel suo studio, la Manore ha delineato alcune strategie che gli atleti possono utilizzare per mantenere un peso sano ed essere sempre pronti per una prestazione. A tal fine è importante adottare una dieta densa di bassa energia, che include una grande quantità di frutta, verdura, cereali integrali, carne magra, pesce e latticini a basso contenuto di grassi e che evita invece le bevande ad alto contenuto di zuccheri, soprattutto gasate e alcoliche. Circa la metà del piatto dovrebbe essere costituita da frutta e verdura, evitando invece gli alimenti trasformati.

Un altro consiglio riguarda il preferire i cibi alle bevande come fonte di calorie. Ad esempio, è meglio mangiare un’arancia piuttosto che berne il succo, perché ha più fibre e sazia di più.

Altrettanto importante è consumare la colazione. Dati del Registro nazionale per il controllo del peso mostrano che l’80% delle persone che hanno perso almeno 13,5 kg in un anno e non li hanno ripresi consumavano la prima colazione, che deve essere a base di cereali ricchi di fibre integrali, frutta, proteine​di alta qualità, come albume d’uovo e latticini a basso contenuto di grassi. Da evitare invece i cereali trasformati.

Quindi, si deve abbondare con le proteine. La maggior parte degli atleti ne assumono molte, ma non in modo strategico, avendo cura cioè di farne rifornimento dopo l’esercizio fisico, disperdendone invece l’assunzione durante il giorno. A seconda degli obiettivi da raggiungere, alcuni atleti possono avere bisogno di coprire fino al 30% delle calorie con proteine, ma molti lo fanno abbuffandosi in un solo pasto. È invece meglio distribuire l’apporto totale durante il giorno, e frutta a guscio e legumi possono essere un’ottima fonte di proteine, non solo la carne.

Un’altra cosa importante è allenarsi regolarmente. Questo potrebbe sembrare ovvio per un atleta, ma molti atleti stagionali tendono a mettere su chili durante la stagione di inattività, rendendo molto più difficile essere pronti al rientro in attività.

Infine sono da evitare le diete. Associare una forte restrizione calorica ad un intenso allenamento può comportare adattamenti metabolici che alla fine possono rendere più difficile perdere peso, mentre perdite di peso importanti tendono a rendere gli atleti stressati e stanchi, il che non è mai un bene per lo sport.

Se il lavoro della Manore è rivolto agli atleti, sia professionisti che dilettanti, i suggerimenti  suddetti possono essere adottati da tutti coloro che vogliono modificare la loro dieta e il loro atteggiamento in una direzione più sana.



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La vitamina K potrebbe ridurre la calcificazione vascolare



La vitamina K potrebbe ridurre la calcificazione vascolare

Partendo dai risultati di diversi studi sugli animali che indicavano che il trattamento con la vitamina K riduceva la calcificazione vascolare, un gruppo di ricercatori americani ha condotto uno studio, pubblicato su American Journal of Clinical Nutrition, per determinare l’associazione tra lo stato della vitamina K e la progressione della calcificazione dell’arteria coronarica (CAC) sull’uomo in progetto multi etnico.

L’analisi dei dati ottenuti da 850 pazienti suggeriva che bassi livelli di vitamina K1 nei soggetti con ipertensione trattata con farmaci potevano aumentare la progressione della calcificazione arteriosa. Siccome circa il 20% degli adulti negli Stati Uniti sono trattati per l’ipertensione e circa la metà potrebbe avere bassi livelli di vitamina K nel sangue, i ricercatori hanno deciso di effettuare ulteriori studi per approfondire le loro osservazioni. 

È stato misurato il livello di fillochinone (vitamina K1) nel siero di 296 partecipanti con una progressione estrema di CAC e di 561 partecipanti selezionati in modo randomizzato senza un’estrema progressione di CAC. La concentrazione di fillochinone è stata considerata bassa se <1,0 nmol/L. I risultati hanno dimostrato che, in generale, le persone con un’estrema progressione della CAC avevano basse concentrazioni di vitamina K1 rispetto a coloro che non avevano una progressione estrema di CAC, ma questi dati non erano statisticamente significativi; mentre, un’associazione significativa tra i livelli di vitamina K1 e la CAC è stata osservata nei pazienti trattati per ipertensione.



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Migliore controllo del glucosio nel sangue grazie al tè verde



Migliore controllo del glucosio nel sangue grazie al tè verde

Secondo i risultati di una meta-analisi di 17 studi clinici randomizzati condotta da ricercatori cinesi (Third Military Medical University di Chongqing) pubblicati sull’American Journal of Clinical Nutrition, l’assunzione di tè verde potrebbe migliorare il controllo del glucosio nel sangue.

I dati di 1.133 soggetti (che hanno partecipato a test riportati su PubMed, Embase e Cochrane, aggiornati a gennaio 2013 che avevano valutato gli effetti del tè verde e degli estratti di tè verde sul controllo del glucosio e sulla sensibilità all’insulina) hanno indicato che il consumo di tè verde è associato a livelli significativamente più bassi di glucosio nel sangue a digiuno e a minori concentrazioni di emoglobina A1c (HbA1c), un marker della presenza a lungo termine di un eccesso di glucosio nel sangue. Inoltre, l’analisi ha anche dimostrato che il consumo di tè verde è associato a ridotti livelli di insulina a digiuno.

Questa meta-analisi suggerisce che il tè verde ha effetti positivi soprattutto sulla diminuzione delle concentrazioni nel sangue a digiuno del glucosio e dell’HbA1c e le analisi di sottogruppi hanno evidenziato anche una riduzione delle concentrazioni nel sangue di insulina, sempre a digiuno.



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